15 Gennaio 2021
Tamat per la giornata mondiale contro la violenza alle donne: “una donna violentata è affare nostro di noi uomini. Noi uomini per primi dobbiamo essere in prima linea". Parla l’ugandese Bobi Nowel project manager di CIPA

25 novembre 2017 Tamat per la giornata mondiale contro la violenza alle donne con Bobi Nowel project manager di CIPA

Uganda, distretto di Arua: Bobi Nowel project manager dei progetti di CIPA - Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi foto ©Alisa Bajrami

Uganda, distretto di Arua: Bobi Nowel project manager dei progetti di CIPA - Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi foto ©Alisa Bajrami

Villaggio rurale di Oluko Uganda  Microimpresa di sartoria “Oluko Girls’ Tailoring Centre”. Venti donne  lavorano ciascuna con la propria storia e voglia di riscatto foto ©Alisa Bajrami  ,

Villaggio rurale di Oluko Uganda Microimpresa di sartoria “Oluko Girls’ Tailoring Centre”. Venti donne lavorano ciascuna con la propria storia e voglia di riscatto foto ©Alisa Bajrami ,

 coltivazione della cassava. foto ©Alisa Bajrami per CIPA - Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi

coltivazione della cassava. foto ©Alisa Bajrami per CIPA - Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi

foto ©Alisa Bajrami per CIPA - Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi

foto ©Alisa Bajrami per CIPA - Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi

Abbiamo incontrato Bobi Nowel presso la sede di CIPA - Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi. CIPA è partner del progetto coordinato da Tamat UmbriaMiCo - Festival del Mondo in Comune, che attraverso arte e cultura mette  le donne al centro di molte delle iniziative preparatorie alle giornate del festival (1-9 giugno 2018) a riflettere l’impegno di Tamat e CIPA per e con le donne: "sosteniamo il lavoro delle donne e la forza della loro motivazione e della loro competenza, come elementi di successo dei progetti in cooperazione internazionale dall’Africa all’America Latina all’Europa". 

Oggi, 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: stupri, matrimoni precoci, violenze domestiche. In Uganda, le violenze contro le donne sono frequenti. Alcune organizzazioni lavorano per contrastare questi fenomeni, ma la strada è ancora lunga. Il Parlamento ha recentemente rivisto un disegno di legge che persegue lo stupro coniugale, ma il 40% delle giovani donne ugandesi si sposano prima dei 18 anni. Sulla questione della disuguaglianza di genere, il Paese è al 115° su 152 Paesi nella classifica dell’Undp. Anche lo spazio per parlare delle violenze rimane limitato nella società, per questo motivo si stanno aprendo sempre più discussioni sui social network e nei blog.

Bobi Nowel parla con un tono pacato ma senza mezzi termini della situazione delle donne nel suo paese citando il caso della ricercatrice e attivista Stella Nyanzi arrestata il 7 aprile di quest’anno per aver offeso il presidente Yoweri Museveni dalla sua seguitissima pagina su Facebook. Una delle sue critiche più aspre e che ha avuto una risonanza maggiore nel Paese è stata successiva al fallimento del governo nel progetto di fornire assorbenti alle studentesse meno facoltose. Questo progetto era parte della campagna elettorale di Janet Museveni, scelta dal marito come ministro dell’educazione e dello sport ed era motivato dalla necessità di contrastare l’abbandono scolastico femminile in Uganda, in parte dovuto proprio dall’impossibilità per molte ragazze di comprare gli assorbenti e poter così gestire serenamente il proprio ciclo mestruale.

Temi che attraversano quotidianamente il lavoro di Bobi presso la sartoria nel villaggio rurale di Oluko e soprattutto presso il centro della salute per gestanti, madri e bambini in Arua nel nord del paese. Entrabi progetti di CIPA - Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi.

Lavori con CIPA in Arua, che è quella parte dell’Uganda in cui sei nato, cresciuto ed ora lavori. Puoi dirci di più sul luogo da dove vieni?

Arua è la parte più a nord dell’Uganda, si trova a circa 400 chilometri da Kampala, la capitale. Ho deciso di lavorare con CIPA nel 2014 quando ho aderito al progetto sulla sartoria. In seguito sono anche entrato a lavorare per il progetto su maternità e nutrizione, finanziato da Guido Bruni e dalla Chiesa Valdese

Com’è la situazione riguardo la sicurezza alimentare in quella parte del paese?

La situazione è piuttosto tragica in Uganda, e soprattutto da dove vengo io, è difficile riuscire a mangiare 3 volte al giorno. La maggior parte delle persone mangia solo una volta, molte altre nemmeno una. La dieta di base è costituita da fagioli e manioca.

Quali sono le sfide principali per la sicurezza alimentare ad Arua?

Le difficoltà più grandi che abbiamo sono il sole e la pioggia. L’intera regione dipende dall’agricoltura e quando la stagione cambia ci sono problemi a livello produttivo e questo porta a scarse quantità di cibo e quindi a malnutrizione.

Tu hai un’esperienza nella gestione delle informazioni sanitarie nella tua regione. Puoi dirmi di più riguardo il lavoro che hai svolto prima di unirti a CIPA?

Ho studiato informatica a Kampala, poi sono tornato ad Arua e sono rimasto lì più di tre anni senza un lavoro. In seguito ho studiato gestione delle informazioni sanitarie e ho lavorato per il centro salute di Oluko ed il centro dialisi di Arua.

In questo centro di dialisi com’era la situazione dei pazienti?

In realtà, quando lavoravo lì, non c’erano altri centri di salute statali, così abbiamo aperto il nostro, vicino alla parrocchia perché il più vicino si trovava a circa 5 chilometri di distanza. La maternità è la sfida più grande in quell’area. Io ho iniziato a lavorare con il centro salute solo un anno prima che lo facesse CIPA e in questo centro già stavano sviluppando un progetto sulla nutrizione, quindi mi hanno assunto specificamente per questo percorso.

Tu non hai una storia di emigrazione nella tua famiglia, nonostante questo mi hai detto che una volta  hai provato a raggiungere il Congo per la scarsità di terra coltivabile nella parte settentrionale dell’Uganda. Puoi dirmi di più sul perché proprio il Congo e sulla scarsità di terre fertili nel tuo paese?

Arua è una città molto vicina al confine con il Congo e proprio per questa sua posizione strategica, è molto popolata. Molte persone si sono trasferite ad Arua perché è la città più grande nella parte settentrionale. Un altro fattore che ha portato alla caduta della produzione è lo stanziamento di persone nelle aree precedentemente adibite all’agricoltura. Ecco perché molti di noi, non solo io, pensano ad andare in Congo, che pur essendo a poco più di tre chilometri dalla nostra città, ha un clima più favorevole e adatto a molte coltivazioni.

Ci puoi dire più riguardo il tuo lavoro quotidiano e le sfide all’interno dei progetti CIPA.

Con CIPA al momento sto gestendo due progetti, uno riguarda la sartoria, l’altro concerne maternità e alimentazione con il centro salute. Per quanto riguarda le sfide in merito alla maternità, è davvero difficile gestire la situazione perché il governo non da soldi al centro e dobbiamo farci bastare i fondi che raccoglie il centro e il supporto di CIPA. Quindi la sfida è anche avere più personale cosi che le donne e le madri possano avere ciò di cui hanno bisogno.

Quante donne vengono raggiunte attraverso il centro della salute?

In un mese raggiunge più di 100 madri; non posso dare dei numeri precisi perché non li ho con me, ma i i numeri sono molto alti perché in Africa il tasso di natalità è molto alto.

Qual è l’età del gruppo di madri che vengono al centro?

Dai 18 ai 45/50 anni

Guardando alle beneficiarie del centro di maternità e alle beneficiarie della sartoria, quale la tua osservazione generale in merito alla condizione delle donne in Uganda?

La mia opinione deriva da quello che vedo quotidianamente. Nella mia regione, ma anche in altre aree dell’Africa (lo vedo ovunque lì), per quanto riguarda l’educazione, le donne lasciano la scuola e quasi mai finiscono gli studi. Conseguentemente non riescono a trovare un lavoro e provvedere per loro stesse; per questo hanno bisogno di un uomo anche perché restano incinte e non riescono a permettersi i soldi per il cibo. Le donne in Uganda non lavorano fuori, possono solo dedicarsi al lavoro familiare. Quindi si hanno donne molto poco istruite che vengono picchiate e violentate e che non possono dare voce alle proprie opinioni. Prendendo la nostra cultura ad esempio, quando si paga la dote al futuro marito, la donna non può abbandonare la casa in cui vivono, anche se viene violentata dal coniuge. Questo è quello che succede nella nostra area ed è questa la ragione della malnutrizione sia di adulti che di bambini.

Per le donne del progetto della sartoria e del centro di maternità, è previsto un consultorio in cui possano dar voce alle loro preoccupazioni o ad eventuali situazioni particolari in cui potrebbero trovarsi?

Nella sartoria di Oluku la situazione è diversa. Quando selezioniamo le beneficiarie scegliamo quelle separate dai loro mariti e quando le abbiamo portate nella sartoria ci parlo personalmente e le incoraggio ad andare avanti; nella sartoria le motiviamo sempre a lavorare per se stesse così da poter imparare un mestiere e c’è stato un grande cambiamento rispetto a quando abbiamo iniziato il progetto.

Quindi vedi un cambiamento nelle donne coinvolte nel progetto della sartoria e le vedi più sicure di se stesse man mano che il lavoro va avanti. In quanto padre e marito, cosa serve all’Uganda per far progredire la condizione della donna nell’ottica di una parità di genere?

È ancora lunga la strada per il raggiungimento della parità di genere in Uganda anche a causa degli altri problemi che affliggono il paese. Il centro della città si trova in una migliore situazione ma per quanto concerne le aree più periferiche ci sono molti problemi: le ragazze non possono permettersi un’educazione appropriata e questo le limita in molti aspetti. Il loro futuro viene compromesso a 14 – 15 anni. A questa età iniziano ad avere delle esigenze che i genitori non riescono a soddisfare e conseguentemente vanno a cercare le cose di cui hanno bisogno in altre parti, molto spesso rimangono incinte e lasciano la scuola, e tutto questo accade frequentemente in un contesto di violenza. Molte persone sostengono l’emancipazione femminile. La persona che stimo maggiormente è Stella Nyanzi, docente durante la mia carriera universitaria. A lei sta molto a cuore la causa dei diritti delle donne è molto franca e diretta. L’ammiro e la supporto.

In relazione al progetto di Tamat con CIPA in Umbria, “ UmbriaMico - Festival del mondo in comune”, vorrei chiederti una o due parole chiave che secondo te esprimono al meglio il concetto di “mondo in comune”

Per me avere un mondo in comune significa avere un mondo di pace perché tutti dovrebbero poter vivere allo stesso modo.

Intervista di Colomba Damiani coordinatore UmbriaMiCo  Festival del Mondo in Comune

#genderequality #SDG5 #Makewomenvisible

Sustainable Development Goals

End poverty in all its forms everywhere
End hunger, achieve food security and improved nutrition and promote sustainable agriculture
Ensure healthy lives and promote well-being for all at all ages
Ensure inclusive and quality education for all and promote lifelong learning
Achieve gender equality and empower all women and girls
Ensure access to water and sanitation for all
Ensure access to affordable, reliable, sustainable and modern energy for all
Promote inclusive and sustainable economic growth, employment and decent work for all
Build resilient infrastructure, promote sustainable industrialization and foster innovation
Reduce inequality within and among countries
Ensure sustainable consumption and production patterns
Take urgent action to combat climate change and its impacts
Conserve and sustainably use the oceans, seas and marine resources
Sustainably manage forests, combat desertification, halt and reverse land degradation, halt biodiversity loss
Promote just, peaceful and inclusive societies
Revitalize the global partnership for sustainable development